10 anni dopo, cos’è rimasto del Movimento 5 stelle?
10 anni dopo, cos’è rimasto del Movimento 5 stelle?

Le due facce del Movimento 5 stelle erano sedute entrambe al Teatro Smeraldo di Milano, il 4 ottobre 2009. Non si conoscevano per nulla. Ascoltavano Beppe Grillo sul palco che parlava di democrazia diretta, di tessere dotate di chip con cui organizzare voti a distanza e del progetto di mandarli “tutti a casa”. Una delle due, quella che sedeva in prima fila, venne addirittura fatta alzare dal comico affinché tutto il pubblico potesse ammirarla: “Lui è Giovanni Favia. È il nostro primo consigliere, a Bologna! È da ragazzi come lui che partirà la rivoluzione”. E giù applausi.
L’altra faccia, quella che sedeva in fondo, applaudiva ma pensava ad altro. Beppe Grillo aveva deciso che il Movimento non si sarebbe candidato alle Regionali in Veneto e nella sua Lombardia. Ma perché mai? In fondo lui, Vito Crimi, seguiva il blog dal 2006, aveva fatto campagna sul territorio e aveva diritto a provare a correre. Assieme ai colleghi attivisti andò dietro al palco da Grillo e Casaleggio, per chiedere la caduta del veto. Funzionò.
La star e lo sconosciuto non si sono mai conosciuti. Dieci anni dopo, la prima vive a Bologna, possiede o gestisce con successo otto ristoranti e non si occupa più di politica. Il secondo vive a Roma, ha deciso le sorti di un governo e fa il viceministro dell’Interno. È nella loro dicotomia che s’inverte lungo la strada, esempio di tante altre, che sta tutta la storia del Movimento 5 stelle. Una storia di rovesciamenti repentini, grandi imprese e feroci vendette.
Gli inizi
Una storia che parte ufficialmente quella domenica di San Francesco d’Assisi, come molte un po’ per caso. Beppe Grillo viene da un’estate in cui ha provato a candidarsi alle primarie del Partito democratico, organizzate dopo le dimissioni di Walter Veltroni. Il comico, che già aveva presentato le sue liste a 5 stelle in diversi comuni d’Italia alle elezioni del 2009, non aveva ancora in mente la forma strutturata di quello che sarebbe stato il Movimento, e credeva veramente nella scalata del Pd. Quello che avviene dopo è storia: i dirigenti del Pd gli chiudono le porte, Piero Fassino si vede ancora rinfacciata quella sua frase memorabile in diretta tv (“si faccia un partito suo e vediamo quanti voti prende”) e Grillo e il guru Gianroberto Casaleggio decidono di fondare un movimento tutto loro.
2009-2013: la fase dell’organizzazione
I primi quattro anni, quelli dal 2009 al 2013, sono quelli dell’organizzazione. Il Movimento fa eleggere i primi rappresentanti locali: qualche consigliere comunale (anche a Milano), qualcuno regionale (soprattutto al Nord) e nel 2012 i primi sindaci (tra cui Federico Pizzarotti, a Parma). Con i consensi cresce la curiosità dei giornalisti e la voglia degli stessi attivisti di mettere in pratica la famosa democrazia interna. In molti chiedono la creazione di organi di coordinamento, trasparenza sul ruolo di Gianroberto Casaleggio e della sua azienda, e l’arrivo della fantomatica piattaforma con cui prendere collegialmente le decisioni. È il periodo delle grandi purghe: quasi tutti quelli che protestano vengono fatti fuori con un post scriptum sul blog di Grillo.

Le grandi purghe
Persino chi accetta un normale invito in una trasmissione televisiva viene fatto fuori. Nel novembre 2012 Federica Salsi, consigliera di Bologna, viene cacciata con un post esclusivamente per aver partecipato alla trasmissione di Rai3 Ballarò. Poco prima che quel post arrivasse, racconta oggi a Wired, aveva subito un mese di pratiche assimilabili a mobbing da parte dei suoi colleghi. “Massimo Bugani e Marco Piazza, i due consiglieri eletti in comune a Bologna assieme a me, cambiarono posto in consiglio, lasciandomi sola tra i banchi”, rammenta. “Ogni volta che entravo nell’ufficio che condividevamo in comune, chiudevano il computer, si alzavano e se ne andavano. Un giorno cambiarono le password di accesso allo spazio Dropbox in cui condividevamo i documenti, facendomi perdere tutto il lavoro”. Oggi Marco Piazza è vicepresidente del consiglio comunale di Bologna; Massimo Bugani, fedelissimo di Davide Casaleggio, è uno dei quattro soci dell’Associazione Rousseau; Federica Salsi è ancora impiegata in un’azienda di grafica pubblicitaria ed è un’attenta osservatrice del Movimento. Quando le chiediamo come sia cambiato, racconta di “un’ingenuità perduta”: “Oggi è più spregiudicato. Le persone che quel 4 ottobre erano lì a protestare nel backstage contro la mancanza di democrazia dal basso si sono perfettamente integrate nel sistema di potere”.

L’espulso più famoso
L’espulso più famoso rimane però quello seduto in prima fila dieci anni fa, Giovanni Favia. La sua “colpa”, dice, fu quella di aver rivelato in un fuorionda l’egemonia di Casaleggio sul resto del Movimento e di aver “scazzato” più volte con lo stesso. Quando gli chiediamo cosa pensi dell’attuale Movimento, Favia ha ancora un residuo di rabbia: “È una caricatura di se stesso. Ha trasformato in un feticcio l’assemblearismo, lo streaming, persino le restituzioni”. L’ex attivista mette in fila i cambiamenti di questi dieci anni: “Proibivano le alleanze, ma ne hanno fatte con destra e sinistra; erano per la trasparenza, ma hanno abbandonato le dirette streaming; promuovevano la libertà civica, ma mettono alla gogna i più ortodossi; si dichiaravano francescani, ma hanno assunto una spregiudicatezza interna spaventosa per fare carriera”.
Il cambiamento
Sarebbe riduttivo etichettare tali cambiamenti come pura incoerenza. E a spiegarlo bene a Wired è l’altra persona che era lì al Teatro Smeraldo, Vito Crimi: “Il Movimento è cambiato e continua a cambiare il suo modello organizzativo e i suoi processi decisionali. Lo fa per adeguarsi alle esigenze di governo che incontra lungo la sua storia. Dieci anni fa non eravamo nelle istituzioni: avevamo libertà, tempo e spazio per imporre i nostri temi e condurre le nostre battaglie a lungo termine. Avevamo processi democratici lenti”. E poi cos’è successo? “Una volta che siamo andati al governo, abbiamo dovuto preoccuparci della quotidianità, imporre un altro ritmo alle nostre decisioni e un altro modello alla nostra organizzazione. Chi in questi 10 anni è stato cacciato, è perché ha voluto forzare dei temi che avrebbero avuto bisogno di una naturale crescita più lenta”.
2013-2018: la svolta nazionale
Crimi è una delle memorie storiche del Movimento, forse una delle più affidabili per raccontare gli anni tra il 2013 e il 2018, quelli della svolta nazionale. Siciliano trapiantato a Milano, diventa uno dei primi candidati M5s in Lombardia, per poi approdare in parlamento con le elezioni del 2013. In quelle settimane lui e la deputata Roberta Lombardi vengono eletti capigruppo al Senato e alla Camera, e diventano i volti più famosi della brigata parlamentare M5s. “Mi ero ritrovato come uno dei politici più ricercati d’Italia. Una mia parola poteva determinare una prima pagina di un giornale o decretare la nascita di un governo”, ricorda Crimi. “Sarebbe stato facile farsi travolgere dal fascino del potere e della popolarità”. Diventare una delle “prime donne” che Roberto Fico denunciò esserci anche nel Movimento. Ne ha viste, Vito Crimi? “Sì. Non parlo di Luigi, ovviamente, ma di personaggi che dopo aver assunto brevi ruoli hanno abbandonato ogni tipo di umiltà”.
Lo streaming
Dopo le elezioni, è proprio Vito Crimi ad andare a parlare in diretta streaming con Pier Luigi Bersani, in un incontro che è restato tra i più memorabili della storia politica italiana. Oggi, Vito Crimi dice che rifarebbe tutto: “Se siamo al governo è anche grazie a quella scelta di chiudere le porte al Pd”. Manterrebbe lo stesso tono, giudicato dagli esperti di allora piuttosto superbo? “Forse no, ma ogni cosa è figlia del suo tempo. Noi avevamo davanti un Bersani insicuro, non proprio convinto di quel tentativo di ‘addomesticarci’ per far nascere il suo governo. Si rivolse a noi con superbia, e forse temeva di essere mandato avanti come carne da macello dal suo stesso partito”.
Le trasformazioni e le giravolte
A quell’incontro seguirono cinque fruttuosi anni all’opposizione e qualche cambiamento. È stato rimosso il divieto di andare in tv (“ma siamo riusciti a imporre nei talk show il nostro modello, antitetico al pollaio”, dice il viceministro); è stato formato e poi sciolto un “direttorio” nazionale e pure uno tutto romano per la sindaca di Roma Virginia Raggi; è stato istituito un capo politico, impersonificatosi in Luigi Di Maio; sono state rimodulate le priorità (sempre meno ambiente, sempre più reddito di cittadinanza); ed è caduto anche il divieto di fare alleanze. Il Movimento ha governato 14 mesi assieme alla Lega. Poi, ha iniziato a governare col Pd. Trasformismo? Trasformazione, precisano i più cauti.
E il futuro?
Difficilissimo prevedere che cosa sarà nei prossimi 10 anni il Movimento 5 stelle. A parlare coi suoi protagonisti di oggi e di ieri, non è chiaro determinare il suo futuro: un partitino eternamente oscillante tra il 10 e il 20%, agguerrito su determinate battaglie? L’unico partito capace di ottenere la maggioranza assoluta e governare da solo? L’elettorato a cui si rivolge, rispetto a 10 anni fa, è molto più consistente e indefinibile. Comprende delusi di destra e delusi di sinistra, affamati di onestà e bramosi di reddito di cittadinanza, ambientalisti e operai, avvocati e criminali, star e sconosciuti. Le infinite facce di un decennio di Movimento.
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